“Mad Max”: una storia probabile (1979-2015)

Si sta concludendo il 2015. Difficile scrivere una recensione su “Mad Max: Fury Road” di George Miller, un film che si è amato moltissimo. Difficile perché si rischia di farne un monumento carico di superlativi assoluti. Prendiamola alla lontanissima, allora.

1979. Prendiamola cioè dal primo “Mad Max” (***), mentre “Interceptor” è il titolo italiano del film ispirato al modello di automobile che cambierà le sorti del film. Miller, poco prima di impazzire come Max Rockatansky, il protagonista interpretato da un giovanissimo Mel Gibson, crea un film ambientato in un’Australia selvaggia senza speranza in balia di squadre di motociclisti vagabondi e violenti, ma è un’ambientazione contemporanea, ovvero non distopica. Vagabondi nichilisti come se ne vedono parecchi nel cinema del Dopoguerra, solo che questi, rispetto ai Marlon Brando, ai James Dean, non hanno né un codice morale-immorale, tantomeno hanno un codice estetico, così come lo possiedono i drughi di “Arancia meccanica” (1971, Kubrick). Forse si può intravedere una vicinanza al nichilismo di “La rabbia giovane” (1973) di Terence Malick, ma in una prospettiva che accantoni tutto il contesto, guardandola dalla parte del proiettile che separa i protagonisti in fuga dal consorzio umano, per intenderci. Un deserto interiore che corrisponde a quello del paesaggio desolato, arido, che fa venire sete di vendetta. Si può fare gran poco a parole contro costoro, in effetti Max per aver causato la morte del loro capo ci rimetterà personalmente quel che ha di più caro: la moglie e il figlio. Da qui in poi impazzisce, smette i panni di poliziotto e indossa quelli di giustiziere, inventandosi una sorta di divisa nera da raddrizzatorti. Va a caccia a bordo di un’auto elaborata – una Ford Falcon chiamata “V8 Interceptor” – è in cerca della propria vendetta, disperato. Pazzo, appunto, al di là del bene e del male. Un film ben fatto, con un protagonista perfetto per quel ruolo, che rivela Miller, autore con grandi possibilità. Certamente il film di primo acchito di tutto poteva suggerire, finanche una carriera per Gibson, ma non suggeriva di certo un sequel. E invece.

1981. Invece, le potenzialità di Miller non sono solo grandi, ma assai brillanti. Arriviamo alla svolta, “Mad Max 2: The Road Warrior” (“Interceptor – Il guerriero della strada”, in Italia ****), ed è un capolavoro inaspettato. Il prologo è cinema puro: il primo “Mad Max” finisce senza “cliffhanger”, senza cioè troppe possibilità di coerente proseguimento – o sequela che dir si voglia – dato l’epilogo, soltanto che nel frattempo la più grande paura erede della guerra fredda, ovvero l’olocausto nucleare, si è manifestata con un grosso botto che ha distrutto tutto, o quasi. E Max è tra i sopravvissuti in questo pianeta desertico, popolato di catorci, dove manca di tutto, ma soprattutto manca il carburante. I pochi pozzi di petrolio, rarissimo, sono difese da tribù come un fortino nel West, come una rocca medievale in Terra Santa, o meglio, come Troia, perché “Mad Max 2″ è sostanzialmente l’”Iliade” ambientata in un’Australia finalmente distopica – con tanto di Achille e Patroclo punk – vista principalmente dalla parte dei troiani. Qui, infatti, Ulisse non sta cogli assedianti, ma anzi sarà fonte di salvezza per le vittime, e guida ancora la sua “V8 Interceptor”. Ah, il cane Argo lo segue nelle sue peripezie, anche perché una casa, Penelope, Telemaco – a Itaca o altrove -, non ci sono più. Tutto intorno si propaga la delinquenza, l’anarchia più sfrenata, barbari primitivi e post-tecnologici a un tempo, tentano di sopprimere il prossimo per una goccia di petrolio o di sopravvivere mantenendo un briciolo di umanità (qui sconfiniamo dalla metafora alla cronaca quotidiana dei vari teatri di guerra sparsi per il mondo, allora come oggi). In questo film si intravede quel che sarà “Fury Road”. Soprattutto nella seconda parte che mostra Max in fuga, alla guida di un camion cisterna. Max riuscirà nel suo intento, ma anche questa volta pagherà caro, perdendo qualcosa di sé. Gli effetti speciali e l’azione furono per l’epoca spettacolari e particolarmente spericolati come sanno bene gli stuntmen finiti in ospedale.

1985. Il più “mainstream” (gulp!) e meno riuscito, se confrontato con i primi e con l’ultimo episodio della saga, è “Mad Max Beyond Thunderdome” (“Mad Max – Oltre la sfera del tuono” **). Ma, come dire: ad avercene di film così poco riusciti. Vi confluiscono suggestioni estetiche della fantascienza e del fantasy anni Ottanta, da “Star Wars” a “Conan il barbaro” (1982, John Milius), tra l’altro. Quel che si sente è la presenza ingombrante di Tina Turner in un ruolo tutto sommato abbozzato che lascia perplessi (è davvero cattiva? No, la disegnano così). L’assenza sostanziale di immoralità, di amoralità, di atrocità gratuite e di quel nichilismo sordo che ha caratterizzato i primi due film, allinea la serie ai cliché del genere post-apocalittico, per motivi soprattutto produttivi, pare di intendere. Ma, al contrario dei precedenti – quasi muti, nei quali per il vero rombavano soprattutto i motori -, Miller trasforma il terzo capitolo della saga in un film verboso cui è richiesto di spiegare tutto, troppo, perché il pubblico si è ampiamente allargato a quello più giovane, ai fans più attempati della Turner, alle/ai fans del Gibson ormai acclamato ‘sex symbol’, con la traccia ecologista, finora data per sottintesa, che diviene preponderante, fin troppo stucchevole: un segno dei tempi anche questo. Ma soprattutto è un film che apre alla speranza, elemento sostanzialmente sconosciuto nei primi due film. Prima produzione internazionale Australia/Usa che vede Miller affiancato alla regia da George Ogilvie.

2015. Infine il capolavoro della saga “Mad Max: Fury Road” (****) con protagonisti Tom Hardy, che sostituisce Gibson nell’interpretazione di Max Rockatansky, Charlize Theron, la regina Furiosa, nonché Hugh Keays-Byrne che veste i panni dello straordinario ‘vilain’ Immortan Joe padre-dittatore che governa una copiosa riserva d’acqua nel mezzo del deserto tenendo sotto controllo una schiera di derelitti. Sul film si sono sperticati in tanti, mi accodo volentieri non trovando niente che sia degno di critica. Rilevo che motivi del successo sono antichi, perché il plot è un film di inseguimenti, il più antico tra i soggetti del cinematografo, dalle guardie e ladri, alle comiche, ai cattivi che inseguono i buoni e/o viceversa. Il cinema è immagine in movimento, l’inseguimento valorizza le due qualità principali del cinema. L’altra idea forte è di ambientarlo in un’unica giornata aumentando le potenzialità della corsa. Un film strepitoso, coloratissimo, ricco di citazioni, per quanto vaghe, mai ostentate. Ad esempio il volto già straordinario di Charlize Theron ricorda quello di Falconetti di “La passione di Giovanna d’Arco” di Dreyer, ma queste sono suggestioni per nulla indotte, che il pubblico cinefilo può liberamente riscontrare. Inoltre non essendo un reboot o un remake dei precedenti, ma una rivisitazione, il film non ha bisogno di ripassi ed è immediatamente disponibile per il pubblico di ogni generazione. Si esce dalla sala con un grande senso di gratitudine. Da vedere e rivedere, ma su grande schermo possibilmente.

“Interceptor” (Mad Max, Austalia 1979), “Interceptor – Il guerriero della strada” (Mad Max 2: The Road Warrior, Australia 1981), “Mad Max – Oltre la sfera del tuono” (Mad Max Beyond Thunderdome, Australia, Usa 1985, co-diretto da George Ogilvie) e “Mad Max: Fury Road” (Australia, Usa 2015) sono diretti da da George Miller.

24 dicembre 2015

Mad_Max_Fury_Road

 

 

Autore: Cinex

Note ai film per nulla obiettive: una risposta sbagliata ai Dizionari da un vecchio blog più volte caduto in oblio, ma mai abbastanza.

1 commento su ““Mad Max”: una storia probabile (1979-2015)”

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