Feud: Capote vs. The Swans (2024)

“Feud: Truman vs. The Swans” (2024) è una preghiera non esaudita, non del tutto almeno, ed è questa sorta di sospensione, specularizzazione dell’ultimo – incompleto – romanzo promesso/minacciato da Capote intitolato “Preghiere esaudite”, a rendere il serial vivido, al netto di alcuni aspetti digressivi ridondanti.
Il difficile incedere del racconto, talvolta sin troppo involuto, non ne intacca l’essenza di pregio, marchio delle lussuose produzioni di Ryan Murphy, il quale continua a (ri)raccontare i miti americani del Novecento, ponendoli in controluce, ma senza rinunciare al riverbero dello splendore, alla bellezza, all’eleganza (quando c’è) di un mondo effimero e in quanto tale perduto per sempre. Un mondo non necessariamente migliore del nostro: ricco di oro e di fascino, fatto di apparenze, ma pure di strategie, di falsità, di morte, condotto sotto le insegne dello stile, che diviene una sorta di contrappeso alle umane miserie.

La produzione è filtrata da Gus Van Sant, tra i migliori registi della sua generazione, che del sogno americano ha raccontato l’irregolarità e il marginale, tracciando la parabola della falena attratta dalla fiaccola fatale nel rispetto dell’essenza dei suoi personaggi, anche i più controversi, oltre gli stereotipi. Chiunque abbia amato la prima stagione di Feud ritroverà in questa nuova serie la cura dei particolari senza la volgarità esibita degli arricchiti che gravitano su Hollywood: è la bambagia del jet-set newyorkese degli anni Sessanta e Settanta. Ambiente esclusivo del quale Capote è diventato il Petronio redivivo: sublime cantore e spietato demolitore. Anche egli è attratto dal luccichio che promana l’alta società, ma non è attirato come la falena – non da principio almeno – bensì come la gazza ladra che ruba per raccontare senza esserne pienamente abbacinata, senza rinunciare a rilevare i lati oscuri del bel mondo. Tuttavia data la vicinanza prolungata, ne resta intimamente coinvolto e condannato all’autodistruzione.
Il punto di forza del serial non è tanto nell’insieme (come invece si riscontrava nel precedente esperimento) ma nel coro dei personaggi, i cigni di Capote sono donne bellissime e affascinanti (con in testa Naomi Watts e Diane Lane), spaventose e ammalianti come le grandi seduttrici sanno essere. Su tutte emerge l’apparentemente eterea Babe Paley (Watts), l’anima gemella di Truman per quanto platonica, che sarà incapace di perdonare il confidente per averla denigrata in un capitolo di “Preghiere esaudite”, brano che Capote offre in anteprima a “Esquire”. Il testo costerà allo scrittore la condanna all’ostracismo da parte di cigni e la via di un lento, inesorabile, viale del tramonto che ha i tratti di un suicidio, né più né meno. Infatti i cigni (tranne qualche eccezione) non lo perdonarono mai per le sue rivelazioni e Capote, rimasto senza assoluzione, si vota al cupio dissolvi: alla rovina psicologico-fisica – indotta da un alcolismo senza uscita – nonché economica.

A margine del serial resta qualche dubbio rispetto all’interpretazione di Tom Hollander che si cala in modo pesante nel ruolo dello scrittore. Il gigionismo che ne caratterizza la performance non sempre fa emergere il personaggio rispetto alla maschera. Talvolta, anzi, l’approccio iper-mimetico disturba la comprensione del testo. Al netto dei lati più discutibili, la seconda stagione di “Feud” rimane tra i migliori prodotti seriali in circolazione per coraggio, idee, invenzioni, qualità di realizzazione. L’episodio forse più intenso dal punto di vista del pathos è diretto da Jennifer Lynch.
Su Disney+.

Autore: Cinex

Note ai film per nulla obiettive: una risposta sbagliata ai Dizionari da un vecchio blog più volte caduto in oblio, ma mai abbastanza.

Lascia un commento

Scopri di più da Cinextra

Abbonati ora per continuare a leggere e avere accesso all'archivio completo.

Continua a leggere